An Evening with Porcupine Tree

An Evening with Porcupine Tree – Q&A con Steven Wilson e Richard Barbieri a Milano

La trascrizione della sessione di Q&A con Steven Wilson e Richard Barbieri durante l’evento “An Evening with Porcupine Tree”

Venerdì 17 Giugno 2022 presso il Cinema Anteo di Milano si è svolto l’ascolto in anteprima in Dolby Atmos del nuovo album dei Porcupine Tree CLOSURE/CONTINUATION, all’interno dell’evento dal nome “An Evening with Porcupine Tree” a cui abbiamo partecipato in qualità di Fan Club invitati dalla Sony Music Italy. Al termine dell’ascolto è seguita una Q&A “condotta” da Matteo Campese, speaker di Radiofreccia che vi riportiamo qui sotto, trascritta e tradotta e con alcune delle foto della giornata a cura di Rebekka Fagnani.

Ricordiamo inoltre che potete trovare CLOSURE/CONTINUATION in tutti i negozi fisici e gli store digitali oltre che i portali di streaming.
Nella sezione traduzioni del nostro sito potete trovare inoltre tutti i testi in versione originale e presto anche di tutte le traduzioni.

Trascrizione della Q&A

A cura di Marco Del Longo, Cristina Negri, Domizia Parri ed Evaristo Salvi

Lo speaker di Radio Freccia Matteo Campese ha moderato l’evento “An Evening with Porcupine Tree“, e apre il Q&A con la band iniziando ad argomentare sul senso e significato del titolo dell’album ormai di imminente uscita, “Closure/Continuation”. Il titolo, infatti, racchiude in sé un senso dicotomico nel significato, in altre parole un aspetto contrastante che induce alla domanda: “è un album teso a coronare l’era PT scrivendo un ultimo capitolo o invece è la prosecuzione, se pur in modo differente, del loro percorso?”.
In un certo senso, infatti, è come se nel titolo mancasse un pezzo, che neanche loro sanno al momento come completare, ma probabilmente lo capiranno nel continuum che li vedrà coinvolti nelle prossime tappe di questo grande ritorno.

Segue poi un focus riguardo allo special audio Dolby Atmos e la domanda che viene posta a Steven in quanto “maniaco” del suono è: “Quando il suono diventa a tutti gli effetti uno strumento nella mente di un musicista?”

Risposta S.W.: Lui è un musicista che ovviamente presta molta attenzione alla costruzione del suono e di conseguenza alla registrazione e a come viene restituito, farlo in Dolby Atmos per Steven è perfetto soprattutto per questo tipo di musica poiché dà la possibilità di distribuire il suono sia verticalmente che orizzontalmente (“now you can spread the music around you, but also above you, vertically as well” cit.). Esso quindi ti arriva da più punti dello spazio tridimensionalmente, attorno a te e sopra di te, restituendoti il suono in maniera totale, inclusi quindi dettagli che registrando in stereo invece potrebbero andare persi. In questo modo li puoi posizionare letteralmente nello spazio, affinché: “You can be literally inside the music, literally.” cit.

Domande del pubblico:

Steven e Richard, quest’anno ricade il trentesimo anniversario dalla vostra prima collaborazione, il tour dei No-Man feat. Jansen/Karn/Barbieri. In che modo si è evoluta la vostra relazione musicale e cosa ha spinto entrambi a fidarsi l’uno dell’altro per così tanto tempo?
Richard Barbieri (RB): Incontrando Steven ho dovuto ripensare al mio processo creativo, nel passato approcciavo in maniera molto più sperimentale provando cose diverse in un periodo di tempo non specificato e più lungo, mentre Steven ne aveva uno totalmente differente molto più veloce e con molte idee. Quando ci siamo visti in studio quindi, le cose sono accadute velocemente e questo suo approccio ha influenzato in modo positivo tale processo e mi sono di nuovo innamorato della musica ..perché lavorare con Steven e Tim (No Man) rinvigorì in un certo senso il mio entusiasmo.

Steven Wilson (SW): Non penso che il nostro rapporto professionale sia realmente cambiato nel corso di questi trent’anni, in parte perché le cose si sono molto avvicinate al mondo di Richard musicalmente. Sono, infatti, gradualmente passato a lavorare con la musica elettronica con la tastiera e in un certo senso anche con le chitarre. Per molti anni il nostro ruolo era ben definito, il mio era quello di scrivere la musica, suonare la chitarra e cantare, mentre Richard creava il sound design e la texture dentro la musica. Credo che tutto questo avvenga ancora nello stesso modo rispettando completamente ognuno di noi nella sua particolarità. Ora suono di più le tastiere e sound più elettronici rispetto al passato, ma funzioniamo insieme ancora molto bene in ruoli differenti. (“The three way creative team is just kind of its perfect in a way, the way this works together is magical” cit.)
Un esempio emblematico è che fin dall’inizio del nostro processo collaborativo per C/C, parlando con Gavin, venne fuori che “Harridan”, pur suonando diversa ed essendo un nuovo progetto, era assolutamente riconoscibile come una canzone tipica marchio PT. Ritengo, dunque, che una delle cose belle di quest’album sia che suona “fresco”, ma al tempo stesso suona immediatamente come qualcosa che ti appartiene e che riconosci come il suono tipico della band. (“Every time we work together instantly, instantly sounds like it could be no one else except PT” cit.)

La vostra fan base è per buona parte costituita da uomini, ma come puoi vedere ci sono anche diverse presenze femminili, perché pensi si verifichi questo fenomeno?
SW: Non credo sia proprio così, io direi che la presenza femminile possa attestarsi al 25%. So bene che siamo definiti come una progressive rock band ed è qualcosa che ha un’audience prevalentemente maschile, ma penso anche ci sia una forte presenza femminile. Qualcosa che ha a che fare con i testi delle canzoni, perché ho scritto molto spesso contenuti in una prospettiva rivolta al mondo femminile e più in particolare ho scritto un album “Hand. Cannot. Erase.” alcuni anni fa che è tutto scritto in tale direzione, e ciò ha contribuito allo spostamento di pubblico anche in questo senso.

RB: Dipende altresì dal punto di vista territoriale, infatti, in Germania credo che l’audience sia più maschile.

SW: Mentre in America del Sud e India è diviso al 50%, da quello che vedo qui stasera è un 25% o 30%, e credo sia piuttosto in linea con i tempi, cosa di cui sono molto contento.

Matteo Campese: Oggi sempre più spesso come se fosse un trend, vedo la release di singoli piuttosto che di album/dischi (parlo anche dal punto di vista di speaker radiofonico), i quali sembrano quasi  in disuso. Nel vostro caso in cosa vi riconoscete di più, e cosa è più importante nel vostro metodo di espressione la costruzione di un one-hour long album cosi come avete fatto, oppure?
RB: Di sicuro posso dirti che non ci riconosciamo in una mini traccia che si potrebbe pubblicare su Tik Tok o in un formato del genere, come un minuto su Ig etc. Non siamo noi. Siamo cresciuti amando il nostro tipo di musica e format e nonostante oggi le cose siano molto cambiate non conosco un modo diverso e migliore che ci rappresenti.

SW: Sono cresciuto amando l’idea dell’album come uno “story telling device”, un racconto, come se fosse un film e quindi esprimendosi nella versione creativa di forma più lunga. Oggi è tutto molto più commerciale, ma credo lo stesso ci sia interesse e spazio per immergersi in un album. Sfortunatamente la questione è che le persone oggi che hanno il potere nelle “music industries” non sono più come le case discografiche. Tutto quello che facciamo sia che si tratti di musica, film, parole, è ora un prodotto che deve avere contenuti commercializzabili attraverso piattaforme quali Netflix, Spotify, YouTube, Apple. Una sorta di Soundbites.. “tormentoni a effetto” e brevi frammenti. Penso che siamo sempre stati l’alternativa e ancora lo siamo, noi siamo la vera band alternativa (risate)

Sony Music: dipende secondo noi dalla visione che si ha e dove si vuole far arrivare quello che si fa..

Avete già iniziato a fare le prove per i concerti dell’imminente tour? Speriamo che suoniate il nuovo album interamente. Mi chiedo se abbiate trovato particolari difficoltà nel tradurre i brani per il live. Steven, conosci il nuovo spettacolo live degli Abba?
SW: Ho i biglietti! Non l’ho ancora visto.

..dobbiamo aspettarci una produzione del genere o magari qualcosa di più?
SW: No, si tratterà di noi concretamente sul palco (risate). E per di più la versione molto vecchia di noi stessi. Noi non scriviamo musica semplice, è sempre una sfida suonarla sia in studio che live. Abbiamo fatto delle prove per un paio di settimane insieme ai musicisti che suoneranno con noi in tour. È stata una specie di audizione e abbiamo scoperto che loro conoscono i nostri brani meglio di noi! Ha funzionato benissimo. Certo è una sfida, ma è quello che lo rende divertente.

RB: Quando suoni dal vivo, la parte difficile sono le sottigliezze sonore dell’album, e a volte devi impostarlo in un modo leggermente diverso. Credo comunque che questo album, più di altri, renda molto bene suonato dal vivo.

SW: È un album molto spazioso, meno denso dei precedenti, e a volte ascoltandolo si ha l’impressione di sentire una band che suona dal vivo, e questo è un pregio. Riguardo alla parte visuale del tour, non abbiamo progettato niente di particolare: pensiamo che dopo dodici anni la gente voglia semplicemente vedere i Porcupine Tree che suonano, invece di vedere la band magari nascosta dietro un telo per metà dello show. Questo è un pensiero di Richard e Gavin, e io sono d’accordo: presentare la band, perché potrebbe anche essere l’ultima volta. Inoltre ci saranno nel pubblico tanti giovani che non hanno mai visto prima i Porcupine Tree dal vivo. E quei ragazzi vogliono vedere noi, giusto? Io sono probabilmente l’unica persona che non vuole che questo succeda, non voglio essere visto (risate). Quindi la risposta è no, infatti sto tenendo in serbo le idee per una produzione live, idee che ho avuto per “The Future Bites”.. che serviranno per il mio prossimo lavoro solista.

Matteo Campese: Se non ti piace farti vedere, dovresti provare la radio, come faccio io.
SW: Ma lì c’è una videocamera puntata su di te tutto il tempo.. il tuo piano non sta funzionando! (risate)

Nel tuo percorso solista ti sei allontanato dalle chitarre per avvicinarti alla musica elettronica; che effetto ti fa quindi tornare a suonare con i Porcupine Tree, e pensi che i tuoi futuri lavori solisti saranno influenzati da questo?
SW: Il nuovo album “CLOSURE/CONTINUATION” è stato composto in un arco di tempo molto lungo, che coincide con il periodo in cui mi sono allontanato dal suonare la chitarra. Questa transizione si riflette nell’album, nel quale ci sono sì passaggi di chitarra, ma anche brani, come l’ultimo che è stato scritto, “Walk the Plank”, che non contiene chitarre. È un’evoluzione che naturalmente si sente anche nella mia carriera solista. Mi piace tuttora suonare la chitarra, ma essendo io limitato a livello di capacità chitarristiche, mi annoio; invece quando suono su un synth lo trovo più stimolante. A questo proposito, ho già scritto il mio nuovo lavoro solista, che usa la stessa struttura sonora elettronica di “The Future Bites”, ma è molto più concettuale, più indulgente, tuttavia impiega lo stesso vocabolario musicale, per così dire. Immaginate “Hand. Cannot. Erase” suonato con strumenti elettronici, più una cosa del genere. In questo momento la musica elettronica mi ispira di più. È vero che sull’album dei PT ci sono questi riff più classici, più metal, come nel singolo uscito oggi “Rats Return”: sono quelli composti nel 2012! Non penso che li scriverei, ora, come ora. In questo momento non mi ci vedo a prendere in mano una chitarra per comporre, è più probabile che vada verso una tastiera.

Vorrei sapere se hai considerato il sistema Dolby Atmos per suonare dal vivo.
SW: È complicato, perché come tu naturalmente sai già, con qualsiasi surround c’è soltanto un punto preciso della stanza dove il suono è perfetto. Il mio studio di registrazione è 7.1.4, e infatti c’è un solo punto in cui il suono mi arriva distribuito equamente. Per un contesto dal vivo, il problema è evidente. So però che qualcuno lo sta sperimentando e sono molto curioso di sentire come funziona. Noi non lo sperimenteremo in questo tour, è troppo complesso. Ma sono curioso di vedere cosa ci riserva il futuro in termini di audio nello spazio per un contesto di musica dal vivo.

E cosa pensi degli eventi musicali stile “silent disco” in cui tutti indossano le cuffie?
SW: È una tecnologia interessante, non è la stessa cosa ma è interessante.

Nei brani del nuovo album “Harridan” e “Of The New Day, c’è questo motivo ricorrente nei testi, l’espressione “almost rain”, ovvero quasi pioggia. Sappiamo che non si tratta di un concept album, ma ci sono forse delle tematiche ricorrenti nei testi?
SW: Penso che ce ne siano in tutto l’arco della mia carriera! Come ogni compositore, ho i miei luoghi comuni, i miei clichés. Anche quando suono la chitarra è così, infatti c’è chi mi prende in giro su internet, rifacendo la progressione di accordi tipica di Steven Wilson. Nei miei testi salta spesso fuori la pioggia, e i treni, e anche le metafore legate ai treni. Ci sono delle immagini a cui sono particolarmente affezionato. Questo che citi è legato a quella sensazione molto speciale e magica che si sente nell’aria subito prima che inizi a piovere. In ogni caso la risposta breve è che non credo ci sia un concept sotto, una continuità, perché questo album è stato scritto in un periodo di tempo così lungo, quindi semplicemente potrei essermi scordato che avevo già usato quell’immagine in un altro brano e l’ho ripetuta. Non c’è la stessa coesione nei testi che c’era nei precedenti album o nei miei album solisti.

RB: È un’espressione originale, comunque, perché si nota che quelle parole non erano state usate in quel modo in precedenza. Le metti insieme in un modo diverso. E ho pensato, è un modo strano di esprimerlo, ma funziona.

SW: Sai perfettamente cosa intendo, vero? Sono orgoglioso di questa espressione.

Hai intenzione di riformare i Blackfield o è un progetto definitivamente chiuso?
SW: Non credo nelle chiusure definitive. L’esempio perfetto sono i Porcupine Tree, penso che un sacco di gente abbia pensato che ci fossimo sciolti, anche se non lo abbiamo mai detto. Ok, forse io l’ho accennato un paio di volte (risate) ma soltanto per far sì che il pubblico si concentrasse sui miei lavori solisti. Ma la realtà era che non ci siamo sciolti, semplicemente non sentivamo l’esigenza di fare qualcosa di nuovo. La domanda che mi faccio quando penso a un nuovo album, che si tratti dei Porcupine Tree, dei Blackfield, o del mio lavoro solista, è: cosa aggiunge alla mia discografia? C’è qualcosa di distintamente nuovo in questo disco? Perché altrimenti che motivo avrei di farlo uscire, in mezzo alla massa di nuovi album che escono ogni settimana? Quindi per me deve esserci la sensazione che sia qualcosa che valga la pena di pubblicare perché è diverso da quello che ho già creato o che la band ha creato. E io credo veramente che questo nuovo album dei PT sia così, è sicuramente un album dei PT, chiaramente riconoscibile, ma ha un sound fresco. E dovrebbe essere la stessa cosa nel caso dei Blackfield. Aviv ha fatto un album solista che io in realtà non ho ascoltato, anche se ci ho suonato (risate). Ma sapete, siamo sempre amici, quindi chissà. Onestamente non lo so, ma la porta non è mai chiusa.

Nei concerti ci sarà spazio per brani tratti dagli album degli anni ’90?
SW: Penso che ce ne siano uno o due in scaletta.. sono due. Uno da “Stupid Dream” e uno da “Lightbulb Sun”. Ti riferivi a quel periodo? Bene, adesso sei motivato a venire al concerto.

Come ti senti riguardo al fatto che il tuo pubblico è cresciuto esponenzialmente in questi ultimi dodici anni, e che alcuni fan potrebbero essere anagraficamente figli tuoi? Io, per esempio, sono nato nell’anno in cui è uscito “In Absentia” e ho appreso con sorpresa che tu sei più vecchio dei miei genitori! L’album mi è sembrato così fresco e nuovo ma poi ho controllato (risate). Quindi ti chiedo come ti senti all’idea di suonare davanti a un pubblico nuovo, sei contento di questo fattore?

SW: Il pubblico effettivamente è cresciuto in maniera massiccia da quando non facciamo più album nuovi, e ne deduco che la nostra musica è unica, che ha qualcosa che la gente non trova in nessun’altra band. È un qualcosa di unico che abbiamo creato, e a causa di questo la musica continua a proliferare, e raggiunge nuove generazioni. Ha un qualcosa di magico che non è legato all’epoca in cui è stata scritta. Addirittura, mentre la componevamo a volte ci sembrava tempo sprecato. Vedevamo le altre band rock che vendevano molto e suonavano davanti a grandi folle, e la loro musica era molto più generica. Noi invece suonavamo in posti piccoli.. credo che la nostra ricompensa stia nella longevità che la nostra musica ha dimostrato di avere, neanche adesso abbiamo un seguito enorme ma chi la ascolta continua a condividerla, perché è unica.

RB: È davvero incoraggiante per noi avere un nuovo pubblico composto da persone giovani.

SW: Ci sono un sacco di gruppi come noi che finiscono a suonare solo davanti a un pubblico di persone anziane, che indossano t-shirt scolorite! (risate) Va bene, qualcuno del genere c’è sempre tra il pubblico, ma non sembra la norma per noi. Credo che questo sia la riprova che la nostra musica non suona come musica che appartiene al passato, musica fuori moda, ma invece è senza tempo.

RB: Io comunque potrei essere tuo nonno! (risate)

Un ringraziamento a Sony Music Italy.

Il Gruppo di Coma Divine presente alla Q&A