Blackfield IV

Blackfield IV

“Blackfield IV, un nuovo equilibrio”

Con Blackfield IV, il duo creato da Steven Wilson ed Aviv Geffen ha spostato ancora l’ago della bilancia fino a trovare un nuovo equilibrio.

Wilson, molto concentrato sulla sua carriera solista, ha fatto un ulteriore passo indietro e si è riservato il ruolo di collaboratore e di deus ex-machina: sue sono le chitarre, i cori ed il missaggio di tutti i brani, oltre che la voce nel brano ‘Jupiter’; Geffen, ben deciso a continuare la sua conquista della scena internazionale, si è occupato di tutto il resto: scrittura dei pezzi, tastiere e piano, arrangiamenti, produzione.

In undici “pillole” (nessun brano supera i quattro minuti), Geffen ha distillato la sua visione del mondo: il complicato e spesso deludente rapporto tra i sessi, lo scorrere del tempo e la giovinezza perduta, la follia di molti comportamenti umani, la mancanza di guide e di ideali superiori, come sembra suggerire l’emblematica immagine di copertina, un’immensa parabola puntata verso un cielo vuoto e silenzioso.

Ci sono però, più che nei lavori precedenti, anche spiragli di speranza e lucidi slanci; Geffen sembra maturato sia come uomo sia come artista, forse grazie anche all’apporto di Wilson, che senza dubbio ha la capacità di tirare fuori il meglio da chiunque incroci la sua rotta.

Tre brani dell’album sono affidati alle voci di Vincent Cavanagh degli Anathema (‘X-Ray’), Brett Anderson degli Suede (‘Firefly’) e Jonathan Donahue dei Mercury REV (‘The Only Fool Is Me’); tre cantanti molto diversi per estrazione e genere, ma perfettamente in linea con l’eclettismo dell’album, che spazia dall’epica di ‘Pills’ alla dubstep di ‘After the Rain’, dalla dolcezza di ‘Springtime’ alla rabbia di ‘Kissed by the Devil’ . Basso, batteria e tastiere aggiuntive sono affidati, come sempre, a Seffy Efrati, Tomer Z ed Eran Mitelman; riuscito anche se insolito, visto il taglio pop-rock dei pezzi, l’apporto della London Session Orchestra per stringhe e fiati.

Molto curato il booklet, realizzato da Carl Glover per Aleph, che illustra ogni canzone con immagini che meritano ben più di un’occhiata veloce. Una curiosità: la scritta giapponese che campeggia in coda significa “Blackfield”: una firma e, per certi versi, una dichiarazione di intenti.