Insurgentes

Insurgentes

Recensione originale presa dal sito Music-News.com scritta in seguito all’ascolto in anteprima a Londra, dell’album solista di Steven Wilson Insurgentes.

Insurgentes: un opera prima forte, intensa e potente.

Fu con grande eccitazione e aspettativa che la notizia arrivò allo studio di registrazione Metropolis, nell’est di Londra – un posto normalmente piuttosto borioso. L’eccitazione era rivolta al primo ascolto del nuovo disco di Steven Wilson (l’uomo che sta dietro e davanti i Porcupine Tree, i Blackfield, i No Man e i più potenti e riusciti lavori di Mikael Akerfeldt e gli Opeth).

Dopo una breve chiacchierata e dopo un più desiderabile spuntino con birra – sorprendentemente gustoso – noi pochi fortunati venimmo scortati oltre una porta, da cui si godeva una visuale di sei o sette altoparlanti dall’aspetto minaccioso. Due minuti dopo Insurgentes fu liberato, e giunse ai nostri sensi.

La traccia d’apertura, ‘Harmony Korine’ si presentò con un gentile fluire di chitarre incantevoli, prima di spiazzarti con un grande muro sonoro intervallato da una melodia vocale bellissima e non artificiosa. È un po’ come essere colpiti in faccia da un maglio di dodici tonnellate. Vi farà male, per la sua bellezza. Letteralmente. Questa canzone è una tra le più immediate dell’album, un inno che sarà capace di appagarvi. Il suo insieme di melodie riuscite e dolci e chitarre graffianti e distorte, gravato da un senso sottile di minaccia vi farà capire lo standard delle canzoni che seguiranno. Ma non sarete preparati. Oh, no.

I suoni industrial di ‘Abandoner’ seguono la prima traccia, e precedono ‘Salvaging’, otto forti minuti di chitarre drone ronzanti e sintetizzatori turbinanti che si stamperanno sui vostri timpani e le vostre orecchie, lasciandovi emotivamente esausti mentre la canzone inesorabilmente si costruisce e si rafforza lasciandovi la sensazione di un rullo compressore appena passatovi per il cervello.

Salvaging, a sua volta, lascia spazio al sublime shoegaze di ‘Veneno Para Las Hadas’, con le soffici atmosfere d’archi e pianoforte. [lo Shoegaze è un movimento musicale degli anni 80, con artisti come i Jesus and Mary Chain o i My Bloody Valentine, molto interessato ai muri sonori e agli effetti per chitarra, NdT]. Questa quarta traccia di Insurgentes è un sospiro di sollievo che fa riprendere dall’intensità dei precedenti. Purtroppo la prog-epica ‘No Twilight Within The Courts of The Sun’ (intitolata in modo assurdo) presto ti riporta indietro – o quasi ritorni volentieri – in questo anello emotivo, con ancora un turbinare di assoli psicotici, tempi lugubri e quei soliti tempi poco usati e spiazzanti che siamo soliti ascoltare grazie a un Gavin Harrison, che nel resto del disco non è stato usato al massimo delle sue potenzialità

Un altro picco dell’album è ‘Significant Other’. Con l’aiuto della voce di Clodagh Simmonds, che sembra provenire da un altro mondo, Steven ha creato uno tra i suoi ritornelli più belli. È un pezzo meraviglioso, un doom-rock melodico che carpirà la vostra attenzione dall’inizio alla fine.

Anche nella seconda parte, dove solitamente gli altri dischi perdono colpi, Insurgentes ci stupisce con della musica ispirata. ‘Twilight Coda’, un interessante strumentale con melodie di pianoforte che ricordano il jazz, ‘Get All You Deserve’, una traccia crivellata di melodie lente e brucianti, conducono all’ultima traccia che dà il titolo all’album, e sono tutti pezzi che convincono completamente.

Considerato nella sua unità, l’album sa sopraffare. Dopo aver ascoltato Insurgentes in tutta la sua lunghezza, ci sentimmo esausti e alzarci dalle sedie ci diede l’impressione di una trance rotta. È un album intenso, diverso e intelligente. Più sottile e stravagante dei lavori dei Porcupine Tree, comunque domina l’ascoltatore, e ha sicuramente superato brillantemente la prova, aprendo in modo degno il 2009.