Regole non scritte del music business impongono che una band, una volta partorito un nuovo disco, debba imbarcarsi in un tour promozionale più o meno lungo. Steven Wilson ha trovato il modo di incastrare, tra un tour dei suoi Porcupine Tree e la release date dell’imminente Fear of a Blank Planet, la pubblicazione di Blackfield II e il relativo tour europeo, che proseguirà a breve con alcune date americane. Ma cosa sono i Blackfield oggi? Come già detto in sede di recensione, sono innanzitutto una vera band più che un side project, ma sono soprattutto la musica di Aviv Geffen più di quella di Mr. Wilson, messa a fuoco attraverso la lente del musicista inglese, che trova così modo di essere esportata al di fuori dei confini israeliani.
L’unica data del tour italiano passa dall’Alcatraz di Milano, in un giorno ahimé scelto dalle autorità regionali per un blocco totale del traffico dalle 8 alle 20. Un problema risolto in parte per il sottoscritto, che già nel primo pomeriggio si trovava all’interno del locale milanese per le interviste di rito; irrisolto per altri, che hanno dovuto rinunciare al ghiotto appuntamento, e aggirato da wilsoniani palermitani, romani, trevigiani e veneziani, che non hanno voluto assolutamente perdere occasione per poter nuovamente – o per la primissima volta – ammirare Wilson e la sua combriccola in concerto.
Aprono i Pure Reason Revolution, ulteriore conferma del fatto che un certo rock ‘emozionale’ non può che provenire dall’Inghilterra. […] Rimossa rapidamente dal palco la strumentazione dei Pure Reason Revolution, non resta che attendere gli headliner. Ascoltare dal vivo i diciotto brani in scaletta è come assumere tante emozioni in pillole, estraendole a occhi chiusi dalla confezione: tanti brevi e intensi episodi, destinati prima o poi a terminare, e a ogni estrazione si spera sempre non si tratti dell’ultima. Poco più di due anni fa i Blackfield potevano contare su un solo disco, e nel loro concerto al Transilvania Live allungarono il set con brani allora (semi-)inediti – ‘Epidemic’ e ‘Where Is My Love?’ e del repertorio Porcupine Tree – ‘Waiting’ e ‘Feel So Low’.
Oggi la band ha una rosa di canzoni più vasta da cui attingere, un paio di sorprese non mancano: a circa metà dello show principale Aviv Geffen prende posto dietro le tastiere, per una solitaria ‘Glow’; si aggiunge quindi Wilson, per la cover di ‘Thank You’ di Alanis Morissette, non un vero e proprio inedito in realtà, pubblicato nella serie delle cosiddette ‘Cover Versions’. Il resto è, per i comunque numerosi sostenitori presenti, pura goduria: suoni ottimi, esecuzioni perfette, e l’ovvia meravigliosa sensazione di essere travolti da quelle canzoni che già solo su disco lasciano il segno.
Recensione di Eugenio Crippa da Kronic